RAGAZZI IN FUGA DAL CARCERE E POVERTA’ DELLA GIUSTIZIA MINORLE

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RAGAZZI IN FUGA DAL CARCERE E POVERTA’ DELLA GIUSTIZIA MINORLE

Il fatto di cronaca nazionale di cui più si è parlato e si parla in questi giorni è la fuga dei sette ragazzi dall’istituto penale minorile Ferrante Aporti di Torino e in qualche notiziario ha avuto più spazio della stessa guerra in Ucraina. Questo istituto ha una lunga storia come luogo di recupero di giovani antisociali e quando è diventato luogo di detenzione minorile (2013) fungeva da laboratorio di una politica volta a rendere le carceri non solo luoghi di custodia ma anche di riabilitazione al fine di promuovere la formazione, la socializzazione e l’inclusione dei minori. Questo era in linea con una coraggiosa riforma avviata dai responsabili nazionali della Giustizia Minorile fin dagli anni ’80 del secolo scorso, ed è andata di pari passo con la possibilità di utilizzare le misure alternative alla detenzione, riducendo il carcere a risposta eccezionale, avvalendosi anche delle importanti risorse del volontariato organizzato.

L’Italia si è distinta a livello internazionale per una politica di depenalizzazione che ha fatto il paio alla chiusura e superamento degli Ospedali Psichiatrici. La diminuzione della reclusione ha inoltre permesso di trattenere in questi luoghi anche i soggetti che, diventati maggiorenni, non andavano a scontare la pena, o il resto della pena, negli istituti per adulti, più stigmatizzanti e meno idonei rispetto all’obiettivo di accompagnare la restrizione della libertà con interventi educativi volti al recupero di processi evolutivi non vissuti da questi ragazzi in età adolescenziale. Perché è chiaro che i minori che arrivano in carcere rappresentano i ceti più svantaggiati, più poveri di risorse e opportunità di ogni tipo, e nel loro percorso di crescita umana esplorano vie devianti e identità negative per l’affermazione di sé, dopo aver sperimentato blocchi evolutivi rispetto al raggiungimento di “obiettivi di fase” specifici di questo periodo del ciclo di vita.

Due considerazioni. Una riguarda l’enfasi dei media che hanno dato particolare risalto alla notizia con titoli roboanti e da prima pagina e con dibattiti in tutti i consueti talk show? Forse perché nel nostro immaginario di adulti il minore deviante è un “diverso” che fa paura, che minaccia l’ordine della società e ci mette di fronte al disagio di affrontare un fenomeno che sfugge al nostro controllo di adulti distratti. Il fenomeno emergente – nell’attenzione pubblica – delle “bande minorili” a cui il governo tenta di correre ai ripari con misure specifiche, è una chiara indicazione di un fenomeno ansiogeno. Ed è noto che i minori sono oggi in Italia i soggetti maggiormente in sofferenza per condizioni di povertà, abbandono scolastico precoce, dipendenze da sostanze e da comportamenti patologici, estrazione familiare multiproblematica. I minori che delinquono o commettono atti di violenza sono al tempo stesso vittime di una società profondamente diseguale che si è andata a estendendo nel periodo acuto del Covid e della risorgente crisi economica che alimenta la povertà di tante famiglie con minori e di quelle immigrate, entrambe poco aiutate anche dal reddito di cittadinanza che privilegia i singoli. Le povertà materiali e ambientali (vedi degrado urbano) si assommano a quelle culturali (abbandono della scuola) e a quelle che impattano sulla disgregazione di molte famiglie che ne sono colpite, intervenendo sui destini e sugli esiti di persone che messe ai margini della società sono destinate a frequentare le istituzioni detentive.

E’ chiaro che occorre fare meglio e operare più incisivamente nella prevenzione del disagio minorile e giovanile che allarma così tanto i media che sono il riflesso dell’opinione pubblica. E’ evidente a tutti che occorre rafforzare la valenza educativa delle nostre istituzioni: con più servizi alla famiglia, con una scuola a tempo pieno per tutti (sicuramente nei quartieri più degradati) e inclusiva, con un lavoro di animazione socio-culturale nei nostri quartieri per creare contesti di socializzazione e senso della comunità. Serve anche un Piano nazionale per i Minori che vada a toccare i fattori protettivi e positivi per la loro crescita, mettendo insieme alle (poche) risorse pubbliche quelle del Terzo settore e della società civile da valorizzare maggiormente nella logica della programmazione concertata su tutti i territori.

La seconda considerazione evidenzia che non vi sono solo le povertà materiali e ambientali che affliggono i minori e li orientano alla devianza. Il caso di specie del Ferrante Aporti rivela che i giovani carcerati sono soggetti ad un altro tipo di povertà: quella istituzionale, quella che mette in evidenza le falle di una struttura che dovrebbe farsi carico del loro destino sociale per reindirizzarli con impegni riabilitativi. Purtroppo è emerso uno scadimento delle attività educativo-socializzanti e laboratoriali nell’istituto dove vengono oggi investite meno risorse, a cominciare dal personale educativo e di custodia (1 solo agente nel cortile della fuga). Non vi sono più neppure le risorse stanziate da oltre 15 anni per i lavori di ristrutturazione che ristagnano da tempo (e che hanno creato le condizioni facilitanti della fuga), così come è manca una direzione tecnica stabile da oltre venti anni. L’istituto vive un po’ alla giornata proprio come è nello stile dei ragazzi devianti. Nelle numerose interviste concesse da coloro che operano all’interno del carcere e nei Servizi della Giustizia Minorile essi non lesinano di menzionare lacune, carenze, omissioni, ritardi e, paradossalmente, raccontano che questo fatto così grave può avere come ricaduta “positiva” quella di portare alla luce la situazione di insufficienza dell’impegno istituzionale, così che si possa cambiare qualcosa. Sono state promosse tre inchieste e promessi dei Tavoli di discussione e decisione. Va bene purché propongano soluzioni a partire dal riconoscimento che i primi responsabili della fuga di Natale dei giovani detenuti sono proprio loro, i referenti istituzionali. Perché c’è un evidente problema di strategie per gli operatori e decisori pubblici in grado di mettere in atto forme di intervento che lavorino su una dimensione dinamica di futuro e sviluppo dei giovani a partire da meccanismi di incentivazione alla loro responsabilizzazione. Buon lavoro!

Renato Frisanco  (29.12.2022)

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