Razza nazione identità. Le radici dell’Odio di Marcella Delle Donne

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Razza nazione identità. Le radici dell’Odio di Marcella Delle Donne

Razza nazione identità. Le radici dell’odio di Marcella Delle Donne, Napoli, Liguori Editore, 2020, pag. 191 (in allegato Bibliografia con 54 riferimenti; sitografia (9 riferimenti), 23 quotidiani digitali con segnalazione di articoli online, 62 articoli di quotidiani cartacei, 3 trasmissioni Rai3.

Il contributo dell’autrice, docente universitaria e militante dell’Associazione “Cittadinanza e Minoranze”, è articolato in 18 capitoli che toccano molteplici tematiche, tutte interessanti, connesse a “Razza nazione e identità”. Le tre categorie si intrecciano disvelando, in epoca di globalizzazione, un panorama geopolitico planetario attraversato da tensioni che hanno a che fare con eventi epocali:

– le guerre militari ed economiche scatenate dai nuovi nazionalismi, in primis dallo scontro per la supremazia tra USA e Cina, così come teatro sensibile di conflitti è il Medio oriente che viene alimentato dalla politica destabilizzante degli USA di Trump;

– i processi migratori di popoli in fuga da guerre e desertificazioni innescando paure nei Paesi di approdo che si sentono minacciati nell’identità nazionale. Poco importa se si tratta di una ingiustificata “sindrome da invasione” cavalcata dai governi sovranisti indifferenti alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (1948), così come alla solidarietà iscritta nello statuto dell’Europa Unita. Ecco allora la necessità di fronteggiare il fenomeno costruendo muri o reti di filo spinato intorno ai confini, disponendo il blocco dei porti, allontanando o ghettizzando gli “alieni”, rifiutando, nel caso dei Paesi europei la redistribuzione di popolazioni immigrate affidate ai soli Paesi di approdo (Convenzione di Dublino, 1997);

– la piaga di una pandemia, con la sua emergenza sanitaria ed economica e con il suo distanziamento sociale, “formulazione che specifica una differenza sociale superiore-inferiore”. La domanda di Delle Donne è “da chi, da cosa è stato generato?” E’ l’ammonimento della natura rispetto alla rottura di un equilibrio dovuta all’effetto dell’attività antropica che genera inquinamento, surriscaldamento globale, eccessiva concentrazione urbana dai quartieri degradati e affollati, sfruttamento di intere aree del pianeta dove l’habitat è divenuto inospitale. La questione ambientalista sollevata “dall’iniziativa dirompente” di Greta Thunberg è appena divenuta questione planetaria ma c’è già chi pratica negazionismo (es. Trump e Bolsonaro) e sembra intestata soprattutto ai giovani di “Friday for Future”, mentre è stata affrontata con coraggio solo dal governo di Angela Merkel, un’altra delle esemplari donne del nostro tempo, ancora poche al potere. Tra le “Women for Future” vi sono anche Ursula Von Der Leyen, Carole Rakete, Liliana Segre, Nancy Pelosi, Hevrin Kalafat e Jo Cox (queste due ultime trucidate per il loro impegno alla pacificazione sociale). Esemplari anche nel dimostrare l’insussistenza della discriminazione di genere a cominciare dai livelli alti del potere decisionale.

Il punto focale dell’analisi articolata su razza, nazioni e identità dell’autrice è la situazione internazionale attraversata da nazionalismi di vario tipo, gestiti in chiave sovranista e populista e capaci di fomentare suprematismi e di perseguitare minoranze di cittadini “diversi”. Si va dall“America first” di Trump che introduce dazi, dispensa sanzioni e attua una politica interna divisiva, alle chiusure isolazionistiche di Gran Bretagna (Brexit) e di alcuni Paesi dell’Europa orientale (Patto di Visegrad), all’espansionismo di Israele contro ogni accordo e diritto internazionale (vs Palestina), alle mire imperialiste e islamizzanti della Turchia di Erdogan, a danno soprattutto del popolo curdo, una nazione senza uno stato indipendente e di cui è stata annullata l’identità etnica dopo essere stato, prima, strumentalizzato dagli Usa nella lotta all’ISIS e, poi, abbandonato al suo destino. Il dominus dello scacchiere bollente del Medio-oriente sono gli Usa di Trump che hanno destabilizzato l’area alimentando i conflitti interni nello Yemen – (“guerra per procura tramite l’Arabia Saudita) in funzione anti-Iran e Iraq – e in Siria. Contro l’Iran, considerato da Trump un competitor “disturbante”, ha annullato gli accordi bilaterali sul nucleare con Obama e ripristinato gravose sanzioni a danno dello stato sciita, e ha poi eliminato, con un proditorio attentato, il suo più valente generale Qasem Soleimani. Questo è avvenuto in soccorso alle preoccupazioni di Israele di Netanyahu, nazione a cui Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale, garantito lo scudo politico-militare della “Nato Araba”, istituzione sigillata con lo storico accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi, e legittimato gli insediamenti israeliani sui territori occupati in Cisgiordania a danno della popolazione palestinese. Anche la Cina, alle prese con la lotta per il dominio geopolitico mondiale, rivela un’escalation di aggressività nell’area asiatica e organizza l’annessione di Hong Kong annullando il suo statuto autonomo. Dall’analisi di Delle Donne emerge un mondo in crisi a cominciare dall’Occidente, non più egemone perché non in grado di “rappresentare il gruppo umano superiore per cultura, economia, tecnologia e razza”.

L’autrice si sofferma anche sulle radici dell’odio e sui processi di costruzione dell’identità collettiva a partite dalla concezione dell’altro da sé, il diverso, sconosciuto, quanto minaccioso (lo straniero o xenos in greco significa anche nemico) perché usurpatore di risorse e fonte di corrosiva contaminazione culturale, così come degli anni ’30 del secolo scorso nella Germania nazista le razze inferiori (ebrei, rom e non ariani) erano considerate corruttrici sul piano bio-genetico.

Secondo l’autrice il pregiudizio scatta automatico perché “non suffragato dall’esperienza, dalla conoscenza dell’identità e dalla situazione in cui si trova l’Altro”. E spiega che la diffidenza degli autoctoni ha un substrato concettuale, dato che lo stereotipo si nutre di una “credenza socialmente condivisa e culturalmente trasmessa, articolata in un insieme di caratteristiche attribuite a un gruppo e formulate secondo criteri non logici”. E’ la costruzione dell’identità collettiva frutto di un apprendimento cognitivo ed emotivo e si manifesta nell’uso di specifici termini. Questo fa sì che il pregiudizio sia un atteggiamento sociale largamente condiviso dai membri di un gruppo nei confronti di un altro gruppo. Nella diffusione e interiorizzazione di norme e credenze pregiudiziali concorrono le agenzie di socializzazione primaria e secondaria così come fondamentale è oggi il contributo dei media, vecchi e nuovi. E’ così che si alimentano le rappresentazioni sociali dotate di giudizi convenzionali e quindi di pregiudizi che formano l’identità collettiva. Tali rappresentazioni delle differenze fissano stereotipi che determinano la distanza sociale tra i gruppi o le etnie e quindi “la costruzione sociale della realtà dell’Altro”.

La dialettica maggioranze-minoranze accompagna le tappe del progresso economico e dello sviluppo delle scienze con le loro scoperte, che nei secoli precedenti sono state spesso marcatamente pseudoscientifiche perché a sostegno di ideologie suprematiste e di teorie razziali, prima funzionali alle politiche coloniali predatorie dei Paesi capitalisti europei (i “civilizzatori” e i “selvaggi”) e poi, all’intolleranza nazi-fascista sfociata nei campi di sterminio (a salvaguardia della “razza pura”). Caratteristica comune della teoria delle razze é che i diversi “razzizzati” lo sono in tutto, nelle loro caratteristiche fisiche, esteriori quanto nelle loro qualità interiori, morali.

Per stare al nostro tempo l’esempio più eclatante di sovranismo e suprematismo che genera la cultura dell’odio nei confronti del diverso (di pelle scura o islamico, in particolare) è quello dell’America, rappresentata da Trump che ne è l’interprete massimo con effetti negativi interni ed esterni agli USA. Ma anche in Europa sono numerose le manifestazioni di sovranismo e correlata xenofobia (dalla vicenda della Brexit, epifenomeno di un razzismo sottotraccia, ai movimenti di destra radicale fino ai partiti sovranisti e ai leader populisti, quasi ovunque, Italia compresa) a fronte di una politica europea su immigrazione e asilo indecisa, incoerente, poco autorevole e con l’interesse prioritario del controllo delle frontiere.

Eppure, affermata anche ufficialmente l’inesistenza delle razze umane (Dichiarazione UNESCO, 1950) – dato che la specie umana è una sola e ha la sua culla nell’Africa di circa 200 mila anni – un discrimine si è andato formando tra i gruppi umani in termini culturali. La diversità culturale può essere una barriera assoluta, per cui se la razza è superata, per cui il razzismo per Marcella Delle Donne “è ben vivo. La questione si sposta semplicemente dal piano biologico a quello culturale, dal piano razziale a quello etnico” (….) L’etnico diventa l’altro, espressione di una diversità che è culturale e naturale insieme” e, ancora una volta, scattano i meccanismi che fissano le differenze piuttosto che valorizzarle (“Razzismo differenzialista”). Ed è proprio il sovranismo e il primatismo che pervade le Nazioni di inizio secolo ad alimentare l’idea di “razza” non più fissata sull’elemento biologico ma su quello culturale-etnico, quindi identitario.

Insomma una lettura da non perdere.

Frase emblematica del testo: “Dal punto di vista della conoscenza, il termine alieno non ci dice nulla di ciò che l’Altro, nella sua realtà e identità sia, se non identità del tutto inventate, create dall’we group per decretare il rifiuto dell’out group. Di fatto, col termine alieno ci troviamo di fronte a uno stereotipo, cui si attribuiscono valori negativi, un’identità considerata minacciosa portatrice di una diversità corruttrice dell’identità del gruppo del Noi (we group)”.

Renato Frisanco

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